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Channel: ferruccio amendola – i400Calci
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Le Basi: Sylvester Stallone. Rocky V (1990)

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Sta per uscire in Italia l’attesissimo settimo episodio di una saga leggendaria cominciata quasi quarant’anni fa.
Stiamo ovviamente parlando di Rocky, e del suo imminente spin-off ufficiale
Creed.
Per celebrare l’evento, tratteremo a mitraglia tutti i film di Rocky uno dietro l’altro e, finché ci siamo, dopo di essi seguiranno trattazioni di tutti i film scritti e/o diretti da Sylvester Stallone, autore completo, nume tutelare del cinema da combattimento, eroe.
Buona lettura.

STALLONEBASI

Brutto periodo l’amministrazione Bush Sr. e per Sly.
L’impressione del pubblico era che, dopo i forti statement politici di Rambo 2, Rocky IV e Cobra, Stallone si fosse adagiato e avesse smesso di informarsi sull’attualità. Il suo rivale ufficiale Schwarzenegger, approfittando dei mezzi flop di Cobra e Over the Top, si era messo in pari come popolarità con Predator e L’implacabile. E infine l’aveva sorpassato nel 1988, quando aveva colto il “Wind of Change” della fine della guerra fredda e aveva girato Danko, mentre Sly – che nella sua testa voleva un altro hit sicuro – si era impantanato a mettere ancora i russi come cattivi monodimensionali in Rambo 3. Ma Arma letale e Die Hard avevano ormai portato il cinema action nell’era post-Rambo, lasciando le esplosioni invariate ma contrastando la classica seriosità e intensità stalloniana con elementi di umorismo. Arnold, che aveva già iniziato a trattare il suo fisico cartoonesco con autoironia in Commando, ci si trovava a nozze. Sly era disorientato.
Fallito Rambo, e ingoiati gli incassi tutt’altro che esaltanti di Sorvegliato speciale e Tango & Cash, gli rimaneva Rocky come unico altro porto sicuro. Era chiaro però che con il quarto capitolo si era raggiunto un picco di epica insuperabile e che la gente non sarebbe stata interessata all’ennesimo gioco al rialzo, perché dopo un personaggio come Ivan Drago potevi solo buttarla in barzelletta o fantascienza.
E allora l’unica strada era indietro.
E se si deve tornare indietro, che lo si ritorni del tutto e che sia chiaro a tutti sin dall’inizio: Sly alza la cornetta e richiama John G. Avildsen, glorioso regista del primo film in debito di credibilità dopo Karate Kid 3, e gli riaffida la direzione dell’orchestra.

In cui finalmente Adriana ha voce in capitolo

E finalmente Adriana ha voce in capitolo

La premessa è un colpo di genio: Rocky rientra negli spogliatoi dopo il match con Drago e, immediatamente, dalla gloria di aver terminato la guerra fredda a cazzotti si passa alla dura, frastornante realtà del corpo che non risponde più ai comandi. Sly sorpassa i critici a destra e fa scendere su Rocky esattamente quel tipo di logica e credibilità che, per sfotterlo, gli rimproveravano da quasi un decennio. E il primo effetto è spettacolare: dopo due film in cui la crescita del personaggio l’aveva portato ad essere più posato ed elegante (“civilizzato”, nelle parole di Mickey), di colpo Rocky recupera la logorrea da buzzurro e il pesante accento da immigrato italiano*. Scherzi del trauma cranico…
Ad attenderlo, quattro grossi problemi: un promoter ispirato a Don King (siamo in piena era Tyson) che vuole fargli sfidare il suo protetto, un figlio in piena crisi pre-adolescenziale, gravi conseguenze mediche dovute ai cazzotti di Drago che lo mettono sull’orlo della disabilità e gli impediscono di mantenere la licenza assicurativa da pugile (convincendolo finalmente a ritirarsi sul serio, alla fazza di Adriana che glielo chiedeva da 11 anni), e infine il povero pasticcione Paulie che firma le carte sbagliate e cede involontariamente il patrimonio di famiglia a truffatori che mandano i Balboa in bancarotta. PEM! Bentornato nel mondo reale, Italian Stallion.
Certo, il promoter che interrompe una conferenza stampa presentandosi senza invito con il suo microfono personale misteriosamente agganciato è un tocco ridicolo che strozza subito eventuali aspettative da Oscar, ma il resto delle premesse è impeccabile. Rocky è di nuovo un essere umano.
E allora diventa un peccato che Sly affronti il resto dello script con il pennarellone grosso, ripetendo ogni concetto quattro volte e preoccupandosi di ricordare le umili origini più con agganci iconografici (il vecchio quartiere, i vecchi vestiti, la palestra, il bar, il prete italiano, il ring dentro la chiesa inquadrato con la stessa carrellata dall’alto con cui iniziava il film originale, persino il ritorno delle sigarette e degli stessi occhiali da lettura) che tornando a scavare un minimo nei personaggi o a rifare uno straccio di atmosfera come sembrava aver promesso.

Mosse azzardate

Mosse azzardate

Le idee di partenza sulla carta sono buone: Rocky torna a fare vita modesta e, abbandonato il ring controvoglia, ha la possibilità di sentirsi di nuovo vivo allenando una giovane promessa, ma si lascia talmente trascinare dagli eventi da non accorgersi che 1) sta trascurando suo figlio e 2) il suo pupillo ha talento ma non ha esattamente la sua stessa purezza d’animo.
Il punto 1 diventa abbastanza buffo nel momento in cui, essendo Rocky Jr interpretato dal figlio di Stallone in persona (il povero, volenteroso Sage), sale di nuovo una puzza di autobiografia micidiale, ma al di là di quello ha un subplot abbozzato malissimo.
Il punto 2 risente della fissa di Sly – altrove azzeccata – di preferire atleti a cui insegnare a recitare piuttosto che attori a cui insegnare la boxe: la scelta paga ovviamente nello scontro finale, ma nel frattempo tocca munirsi di compassione per l’incolpevole Tommy Morrison per almeno un’ora e mezzo, e assistere a un voltafaccia da pupillo a rivale letteralmente da una scena all’altra.
Il culmine delle braghe calate diventa comunque un pretestuosissimo flashback su Mickey, che gronda miele assolutamente ingiustificato ma se non altro ha il pregio di regalare un altro monologo a Burgess Meredith. Ok, forse il culmine delle braghe calate sono gli inserti di colonna sonora hip hop.

Meta.

Meta.

Il problema principale sta proprio qua: come per la famigerata svolta PG-13 di Expendables 3, Sly fa quello che pensa sia giusto in quel momento ma che non gli viene dal cuore. E John G. Avildsen, che viene da un sequel poco ispirato come Karate Kid 3, ha chiaramente perso da tempo gli occhi della tigre ed è lì solo per incassare lo stipendio.
Se il primo film veniva dalla sincerità di chi non ha niente da perdere e il quarto dalla mano sicura di chi sa come vincere, questo di nuovo non riesce a nascondere il parallelo con la vita reale di Sly comunicando la sensazione di un ex-vincente che, usurpato del suo trono in un attimo di distrazione, ne fa subito una tragedia e cerca di elemosinare simpatia nella speranza di tornare ad essere l’incontrastato numero 1.
E il risultato è un film di certo non inguardabile, ma che ha tutti i problemi di approssimazione e superficialità dei momenti peggiori di Rocky II, e nessuno dei pregi.
E nemmeno il combattimento finale lo riscatta, perché sebbene per una volta la molla che fa scattare Rocky sia un’aggressione a Paulie (gli sono voluti cinque film per elemosinare l’importanza che gli spetta), il fatto che si svolga in strada e che includa mosse di wrestling non lo trasforma in un match di boxe versione deluxe, come erano sicuramente le intenzioni, bensì nella versione povera di un qualsiasi altro film di Stallone.
Si salva quindi per assurdo Stallone attore: sembra l’unico capace di smorzare le grossolanità che egli stesso si è scritto grazie a un’intima conoscenza del personaggio che, esagerazioni dialettali a parte, gli permettono di mettere più o meno il pilota automatico e farlo sembrare ben definito lo stesso.
Rocky V è di gran lunga il film meno amato della saga, che lascerà i fans con l’amaro in bocca e Sly con la sensazione di avere un torto da rimediare.
Ma l’aver sbagliato non tanto il “cosa” ma il “come” fa sì che, nell’economia generale della saga, sia ancora un pezzo del puzzle con la sua importanza, che farà da base all’inaspettata riscossa.

DVD-quote suggerita:

“Anche i migliori sbagliano (e imparano)”
Nanni Cobretti, i400Calci.com

La mia scena preferita

Anche se a questo turno tutto il pezzo è mio mantengo la rubrichina intatta, perché ci tengo a ribadirlo: è il magistrale incipit, con Rocky negli spogliatoi subito dopo il match con Ivan Drago che parla balbettante e spaventatissimo ad Adriana e non riesce a controllare i tremori del corpo. In quel momento, l’impatto emotivo è paragonabile a vedere Wile E. Coyote che, dopo il 50esimo volo dal burrone, di colpo si rialza e scopre di avere tutte le ossa disintegrate. Il rammarico per il resto del film è altissimo.

Non fa male, Sly, hai preso cazzotti peggiori.

Non fa male, Sly, hai preso cazzotti peggiori.

>> IMDb | Trailer

* per voi che ve lo guardate doppiato in italiano: immaginate che tutti i Rocky siano doppiati da Amendola che nei primi due fa (moderatamente) Er Monnezza, nel terzo e nel quarto fa il Robert De Niro bravo presentatore di Re per una notte, e infine in questo di colpo fa di nuovo Er Monnezza.


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